Tom à la ferme - Canada, Francia, 95'

Xavier Dolan

Il regista Xavier Dolan, enfant prodige del cinema canadese, ha 24 anni, quattro lungometraggi alle spalle e, tra i tanti riconoscimenti, numerosi premi ottenuti a Cannes e Toronto, due dei più importanti festival cinematografici del mondo. Qualcosa di anche solo lontanamente simile sarebbe impossibile in Italia, dove i giovani registi emergenti hanno 40 anni (discorso che si potrebbe ovviamente ampliare anche ad altri ambiti). Il dramma in questo sta nel dover rinunciare ad alcuni degli anni più fertili e brillanti per un artista, quelli in cui è più facile commettere errori ma anche comprenderli e sapersi migliorare per superarli, cosa assai più ardua quando si è già pienamente formati come individui. Infatti, Dolan mostra già una piena maturità artistica, e Tom à la ferme, il suo ultimo lavoro presentato in concorso a Venezia, è risultato essere uno dei film più interessanti di questa edizione del festival, e, grazie alla già tanta esperienza, è impossibile scovarvi segnali della giovane età del suo autore.
Da sempre interessato al tema dell'omosessualità, Dolan racconta di Tom (da lui stesso interpretato), un ragazzo che si reca nella casa natale del proprio fidanzato appena scomparso, per presenziare al suo funerale, ma scopre che la madre ignorava la natura del figlio, mentre il fratello, invece consapevole, lo obbliga a recitare la parte dell'amico, per non distruggere la falsa immagine che lei ha di lui.
È ormai sempre più evidente quanto Michael Haneke abbia influenzato il cinema degli ultimi anni, e quest'ultima edizione della Mostra del Cinema lo dimostra, avendo portato al suo pubblico numerosissimi film in cui è evidente il debito col regista austriaco, soprattutto dal punto di vista tematico, ma talvolta addirittura anche da quello stilistico (Miss Violence è il caso più eclatante). Dolan non è da meno, e, se registicamente rinuncia al rigore formale tipico di Haneke, optando per uno stile più sporco e moderno, si concentra comunque sull'ambiente domestico visto come luogo dove l'aberrazione dell'animo umano vive pur celata, fonte di inevitabile corruzione.
Nonostante questa sotterranea influenza, Dolan realizza comunque un film in tutto e per tutto suo, dove riversa alcuni degli angoli più reconditi di se stesso, continuando il proprio discorso sulle traversie di una sessualità "diversa", giocando molto sul non detto, riuscendo così a creare un'atmosfera tesa e disturbante che permea il film e lentamente contagia tutti i suoi personaggi. È il leitmotiv di Venezia 70: speranza di salvezza non ce n'è.

Scheda del film

Per la redazione Marcello Bonini