Ana Arabia - Israele, Francia, 84'

Amos Gitai

Che cos'è un piano sequenza? Un'inquadratura, fissa o in movimento, particolarmente lunga, che, da sola, ricopre un intero episodio narrativo all'interno di un film. È difficoltoso da definire con precisione, perché è un termine che non appartiene al lessico tecnico del cinema (tant'è che gli anglofoni preferiscono il più generico long take), ma è piuttosto un'idea di poetica definita dal critico francese André Bazin (padre spirituale della nouvelle vague nonché padre adottivo di François Truffaut), vista come strumento per avvicinarsi alla realtà. Fino a pochi decenni fa era utilizzato di rado (Orson Welles girò alcuni dei più bei piani sequenza della storia del cinema in Quarto potere e L'infernale Quinlan), poiché le strumentazioni dell'epoca li rendevano di grande difficoltà realizzativa, ma in tempi recenti, grazie alle nuove tecnologie, sono proliferati, e innumerevoli registi hanno fatto del long take una ragione di vita (da De Palma a Cuarón, da Haneke a McQueen, senza contare ovviamente tutti i seguaci della nouvelle vague). Non è mancato nemmeno chi lo ha esasperato, dando vita ad interi film impostati su un unico, lunghissimo, piano sequenza (tra i precursori va annoverato Hitchock con Nodo alla gola, e in tempi più recenti, il Sokurov di Arca russa). Ma la (relativa) facilità con cui oggi si possono realizzare, ha spesso portato a piani sequenza più o meno lunghi che si esaurivano in affascinanti ma vuoti esercizi di stile, anche se l'interesse che ancora suscitano è testimoniato dall'inclusione all’interno della settantesima Mostra del Cinema di Venezia di due film (curiosamente entrambi mediorientali) girati in un unico long take: l'audacemente folle non-horror iraniano Mahi va gorbeh di Shahram Mokri, all'interno della sezione Orizzonti, e, in concorso, l'israeliano Ana Arabia di Amos Gitai. Il talento di quest'ultimo è stato quello di utilizzarlo, cosa rara, a livello espressivo, dando senso e valore alla scelta. Infatti, cosa comporta un piano sequenza? Tutti gli elementi dell'inquadratura vengono racchiusi in un'unica dimensione spazio-temporale, creando così tra essi una profonda connessione. Infatti Ana Arabia è ambientato in unico luogo, un'enclave araba nella città ebraica di Jaffa, dove una giornalista si reca per un'intervista: il film inizia col suo ingresso nell'agglomerato di edifici per concludersi con la sua uscita. Ma, al tempo stesso, e qui sta il colpo di genio del regista, racconta di una separazione; quella umana di un uomo la cui moglie è morta, e quella sociale tra due popoli. Si crea quindi un affascinante cortocircuito tra ciò che viene rappresentato e come viene rappresentato, rendendo il piano sequenza un accorato appello alla riconciliazione tra due etnie, sottolineato dall'ultimo, splendido, movimento di macchina, dove la cinepresa sale verso il cielo, fino ad abbracciare l'intera città, che si mescola con il sobborgo arabo, in un'unione agognata ma ancora impossibile.

Scheda del film

Per la redazione Marcello Bonini