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Tracks
Tracks - Australia, 110'
Regia: John Curran
Con: Mia Wasikowska, Adam Driver
Prendete Into the wild di Sean Penn, sostituite l'Alaska con l'Australia, ed avrete Tracks, il film di John Curran in concorso a Venezia. Due storie vere di abbandono della civiltà per il desiderio di buttarsi negli spazi sconfinati che il pianeta offre, che diventano luoghi dell'anima dove trovare se stessi, pur a caro prezzo. Nel 1977 la giovane Robyn Davidson decise di attraversare l'Australia occidentale a piedi e da sola, accompagnata solo dal suo cane e da quattro cammelli (caratteristica che la rese nota come Signora dei cammelli). Ne scrisse prima un articolo per il National Geographic, che le finanziò la spedizione, poi il libro da cui questo film è tratto. Al quale non manca nulla di ciò che un journey movie necessita: paesaggi da cartolina, incontri con la natura intima di luoghi e popolazioni fuori dal mondo, sequenze strappalacrime e siparietti ironici per stemperare la tensione, senza però quella regia acida che caratterizzava il film di Penn. C'è tutto, insomma, per fare di Tracks un mediocre film uguale a mille altri. Ad evitargli questa triste fine, però, interviene un'adesione alla concretezza che lo distingue da quella che sarebbe potuta essere una classica e poco interessante pellicola hollywoodiana. Il deserto è mostrato in tutta la sua crudezza, come misterioso e affascinante luogo di morte. Ciò si realizza soprattutto su Mia Wasikowska, eccezionale protagonista del film, che getta il proprio corpo sotto il sole e tra la sabbia. Curran mostra le ferite e le piaghe che martoriano la sua pelle candida da australiana-polacca e lei non nasconde in alcun modo la sua condizione di viaggiatrice, sporca e addirittura mai depilata. E questo gusto realista su un'attrice fa probabilmente molto più effetto che su un attore uomo (in effetti, Emile Hirsh lercio e barbuto conserva una certa virilità animalesca). La sua Robyn conserva tutte le contraddizioni della Robyn storica, facendone un personaggio vero, protagonista di un film che pur esaltando l'impresa compiuta, evita l'agiografia. Così riesce quello che è il primo e fondamentale passaggio per potersi godere un film simile, l'immedesimazione. E mentre Robyn cerca il contatto con se stessa e col mondo che la circonda, troverà prima quello col pubblico, il quale sentirà anche in sé le gioie, i dolori e le scoperte della sua eroina. Per quanto, per chi ha già visto Into the wild, il sentimento di dejà-vu sarà forte, dato che molti degli elementi del primo tornano anche in Tracks, a partire dai flashback stranianti sino ad arrivare al momento catartico della "lotta con la natura" (nel film americano rappresentata da un alce, mentre qui tocca ad un cammello, ma il concetto è lo stesso). Però, anche la storia di Robyn Davidson è meritevole di essere conosciuta e ricordata, e questo è un merito che nessuna somiglianza potrà scalfire.
Per la redazione Marcello Bonini
- Venezia 70.
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