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Joe
Regia: David Gordon Green
Con: Nicolas Cage, Tye Sheridan, Ronie Gene Blevins
Appena due edizioni fa del Festival di Venezia, veniva presentato Killer Joe, del regista di culto William Friedkin. Quest'anno, proprio quando l'autore de L'esorcista riceve il Leone d'Oro alla carriera, arriva Joe di David Gordon Green, film molto simile a quello di Friedkin, a partire dal nome del protagonista. O meglio, più che simile, speculare. In entrambe le pellicole, entrambe ambientate in Texas, abbiamo un personaggio violento che entra in contatto con una famiglia problematica che cerca di aiutare. La differenza è una: se il Joe di Friedkin è un cattivo, il Joe di Green (interpretato da Nicolas Cage) è un buono. Pur non essendo di certo un brutto film, la pellicola di quest'anno è nettamente inferiore a Killer Joe, che brillava per una crudelissima ironia che ora invece manca. Però, diventa interessante mettere a paragone i due film, soprattutto in luce della loro principale differenza (che, vedremo, ne porta una seconda).
Il mondo creato da Friedkin è un mondo marcio, i cui fragili equilibri sono rotti dall'arrivo del personaggio del titolo, detective della polizia che arrotonda come killer, causando alla fine un'esplosione di inaudita violenza. L'universo di Green, pur essendo altrettanto corrotto, presenta ancora alcuni raggi di speranza e degli individui meritevoli di salvarsi (del tutto assenti nel primo film). Ma, anche qui, pur in presenza di qualche scampolo di bontà, la violenza è inevitabile, e il finale porta di nuovo sangue e morte. Ecco, dunque, a quale conclusione giungiamo vedendo i due film: un mondo violento non può che generare una spirale di violenza, indipendentemente che la si alimenti o si cerchi di fermarla. Ma proprio a questo punto arriviamo alla seconda grande differenza. Killer Joe inizia male e si conclude peggio, con un finale che per quanto aperto non ha possibilità di portare a qualcosa di positivo (qualunque cosa accadrà dopo quell'ultima inquadratura sarà orribile, cancellando ogni illusione di una scelta giusta). Al contrario, in Joe qualcosa di quel bene comunque presente può sopravvivere, facendo così intendere che tutto quell'orrore qualcosa di buono lo porterà. Non è certo una violenza giustificata in quanto salvifica, ma in Friedkin neppure la violenza che ha delle giustificazioni può portare a qualcosa di diverso da ulteriori brutalità.
Quindi, anche senza considerare la retorica e facilissima metafora che lo chiude, Joe rimane un discreto film che manca però della radicalità e della forza di Killer Joe; è ben fatto, certo, e con buoni momenti, ma senza un vero interesse.
Per la redazione Marcello Bonini
- Venezia 70.
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