Miss Violence - Grecia, 99'
Regia: Alexandros Avranas
Con: Themis Panou, Eleni Roussinou     

È l'undicesimo compleanno di Angeliki, e a casa è tempo di festeggiare. La sua numerosa famiglia le canta una canzone di auguri e le porta la torta. Poi, è il momento della foto ricordo. E mentre il nonno prepara la macchina fotografica, Angeliki va in terrazza, scavalca la ringhiera, e si butta.

Cosa può spingere una bambina di undici anni a suicidarsi? Motivi sembrano non essercene; la sua è una famiglia povera, ma felice. Almeno in apparenza. Perché la sua morte straccia il velo di omertà che cela un abisso di orrori, in cui lentamente il pubblico di Miss Violence di Alexandros Avranas è chiamato a immergersi.

"Lentezza" è il termine chiave, perché la verità non è una rivelazione improvvisa, una violenta luce che squarcia le tenebre. No, è un processo faticosissimo, fatto di tanti piccoli frammenti che si scoprono uno dopo l'altro e che solo alla fine trovano la loro esatta collocazione, dando forma al quadro complessivo. Passo dopo passo, lo spettatore capisce: è un lieve bagliore che filtra attraverso il buio. Ma non è una luce capace di illuminare i personaggi del film, perché la verità è tanto terribile da essere ormai penetrata in loro, e l'unica via di fuga è altrettanto sconvolgente, l'ennesimo segno che si porteranno dentro per l'eternità.

L'ispiratore del film è uno solo ed è evidente: Michael Haneke (che ha fatto scuola in tutto il mondo e questa edizione della Mostra lo testimonia). La sfiducia nelle istituzioni tradizionali della società (in questo caso la famiglia) è assoluta, viste solo come una maschera per celare il vero volto dell'animo umano. E poiché se guardi troppo a lungo nell'abisso l'abisso guarderà in te, il male diventa l'unico strumento per sconfiggere il male. Essendo quest'ultimo nella natura dell'uomo, è anche nello spettatore, che all'ultima, disturbante, inquadratura, proverà orrore nel vedere quel sorriso, segno di un piacere sadico che si impossesserà di lui, in un finale inquietantemente liberatorio. Ma l'influenza del maestro austriaco non si esaurisce nel pessimismo della filosofia su cui il film è costruito, ma è evidente anche nello stile assunto da Avranas, fatto di poche inquadrature, dove i movimenti sono sempre geometrici e studiatissimi, contribuendo così a creare l'atmosfera gelida che caratterizza anche la fotografia.

L'unico vero difetto del film è il titolo, poco sensato e forse rubato al cinema di Park Chan-wook, ma, sorvolando su questo dettaglio poco significativo, Miss Violence è uno dei film più riusciti e potenti del festival, testimone di una cinematografia, quella greca, vivace e ricca di autori interessanti.

Scheda del film

Per la redazione Marcello Bonini