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The zero theorem
The Zero Theorem - Regno Unito, Usa, 107'
Terry Gilliam
Terry Gilliam è da sempre considerato un regista visionario. Spesso si usa questo aggettivo con un po' troppa leggerezza, ma di sicuro l'ex Monty Python si è guadagnato il titolo con merito. Cosa significa, però, essere un "regista visionario"? Riuscire a creare un mondo di fantasia complesso e credibile, attraverso il quale mettere in gioco la propria visione della realtà. Capacità che a Gilliam non è mai mancata, e grazie alla quale ha realizzato tutti i suoi più grandi film del passato, da Brazil a L'esercito delle dodici scimmie. Ma il regista che fu americano nel suo ultimo The zero theorem sembra stanco, intenzionato più che altro a ripetere se stesso invece che a proseguire il proprio percorso. Sia chiaro, in superficie, la sua impronta si vede benissimo. Le sue scenografie al tempo stesso cupe e colorate danno vita ad una distopia classicamente alla Gilliam, abitata dai personaggi ai margini della "normalità" che caratterizzano il suo cinema, e l'ironia mutuata dai tempi dei Monty Phyton pervade il film ("Deluso da Scientology? Stanco del buddhismo? Prova la Chiesa di Batman salvatore!", esclama un cartellone pubblicitario parlante in uno dei momenti più divertenti del Festival). Ma, sotto, si nota una mancanza di idee preoccupante per un regista (per l'appunto) visionario, che, ricreato il suo universo, lo usa per una lezioncina facile e poco interessante sull'amore che ci salva dal vuoto esistenziale e dallo straniamento tecnologico. The zero theorem sembra a tratti una rivisitazione meno ispirata del ben più riuscito Brazil, riempito di scippi a tutto il cinema di fantascienza dell'ultimo quindicennio (impossibile non vedere in particolare i debiti con eXistenZ di Cronenberg). Il piacere visivo non è perso, e Christoph Waltz (ormai uno dei più grandi attori contemporanei) si cala perfettamente all'interno del film, nei panni di un informatico alienato che viene incaricato di risolvere un complesso e misterioso teorema sulla natura ultima dell'universo, affiancato da una camgirl e dal solito genietto del computer. Ma sembra di vedere l'opera di un (ottimo) imitatore di Gilliam, e non il regista originale, come già era capitato col precedente Parnassus. L'estro creativo di uno dei più originali autori degli ultimi trent'anni pare insomma stia scemando in una logora ripetitività, e a noi, da sempre suoi cultori, non resta che consolarci con le splendide immagini che, per fortuna, è ancora in grado di regalare al grande schermo.
Per la redazione Marcello Bonini
- Venezia 70.
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