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Stray Dogs
Jiaoyou (Stray Dogs) - Taipei cinese, Francia, 138'
Ming-liang Tsai
Difficile parlare di Jiaoyou (Stray Dogs il titolo internazionale) di Tsai Ming-liang.
Una famiglia vive ai margini della società.
Questo è il film, basta. Ma con un gusto particolarmente sadico, il regista cinese già Leone d'oro nel 1994 con Vive l'Amour, lo mette in scena attraverso inquadrature bellissime ma per lo più fisse ed eterne, interi minuti di individui che mangiano un pollo, o che camminano attraverso un bosco, o se ne stanno immobili in mezzo al traffico come cartelloni viventi. La staticità delle immagini dovrebbe rappresentare le loro esistenze bloccate, ma la penultima inquadratura, tredici minuti (sic!) di un uomo ed una donna che immobili fissano un muro, fa sospettare la presa in giro. Non della stessa opinione è stato il pubblico di Venezia, che, dopo avere abbondantemente dormito durante la proiezione, si è risvegliato giusto in tempo per travolgere l'autore con scroscianti applausi, un po' con quell'aria da Meglio non far capire che non mi è piaciuto, che poi ci faccio la figura dell'ignorantone che non capisce l'arte.
Nulla impedisce ovviamente un cinema particolarmente lento e riflessivo, su questi stessi principi Andrei Tarkovski ha dato vita ad alcuni dei più grandi capolavori del cinema, ricorrendo spesso ad inquadrature particolarmente lunghe. Ma il paragone è ingiusto, perché dove il maestro russo abbondava di simbolismi e suggestioni filosofiche, dando alle sue immagini uno ieratico dinamismo, Tsai Ming-liang si perde nell'autocompiacimento del proprio talento formale, che finisce per essere vuoto e ridondante.
Gli entusiasti hanno parlato di un film che rappresenta la morte del cinema. Sulla qual cosa, si può anche essere d'accordo.
Per la redazione Marcello Bonini
- Venezia 70.
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