Titolo originale:  Kaze Tachinu
Nazione: Giappone Anno: 2013
Genere: Animazione Durata: 126'
Regia: Hayao Miyazaki

Si alza il vento e dal Giappone porta a noi l’ultimo film di Miyazaki. Lascio agli scommettitori il giochetto di asserire che questo voglia essere il suo testamento, anche se nella pellicola si può trovare un chiaro accenno, in una battuta, riguardo al momento che arriva per tutti di tirare i remi in barca. Lascio ai male informati, invece, il pettegolezzo che sia un opera nazionalista e pro-bellica, nostalgica del Giappone imperiale che fu, prima della disfatta perpetrata dalla lunga mano americana. Quello a cui si assiste è messo subito in chiaro: un omaggio al volo, all’aeroplano e all’ingegno dei grandi che costruirono quelle meraviglie, così magnifiche, così potenti ma così mortali, perché troppo spesso declinate all’ambito bellico. L’aeroplano è una benedizione e una maledizione allo stesso tempo, per ammissione degli stessi personaggi che parlano in vece del grande regista. Si tratta solo di decidere da che parte stare: in un mondo senza aeroplani o in un mondo di cui ne fanno parte, con tutti i pro e contro di entrambi i casi. Ed, ovviamente, il mondo e Miyazaki stesso sappiamo benissimo cosa abbiano deciso, per quanto noi possiamo essere in disaccordo.

Ma, fortunatamente, “Si alza il vento” non è solo questo. E’ la storia di Jiro, il grande inventore dello Zero, famoso modello di caccia giapponese, e della sua vita; dalla sua infanzia, invero appena accennata, al periodo immediatamente post bellico. Questi aspetti storici sono marginali nella rappresentazione scenica ma colpiscono comunque per resa espressiva. Quando il grande terremoto del Kanto colpisce nel 1923, la terra stessa e le rotaie di un treno si increspano in maniera irreale come un’ onda scatenata da una goccia caduta in un bicchiere d’acqua (mi si perdoni il paragone ma si può pensare all’esplosione del palazzo di vetro nel primo Matrix, tanto per avere un’idea) e nell’aria il suono del sisma si sparge come un mugghiato feroce di qualche mostro spaventoso e lontano. La guerra, ancora, è percepita come un sogno, nel quale non resta che rammaricarsi per come siano andate le cose, senza tuttavia rinnegare quello che c’è stato: gli errori commessi, le scelte, l’impegno profuso nella realizzazione di così importanti progetti, almeno per Jiro stesso, non ammettono ripensamenti e secondi punti di vista.

C’è anche però del reale, oltre a questo. Anzi, oserei dire che questo sia il film del Maestro che meno concede alla fantasia di penetrare la realtà. Lo testimonia la volontà di attenersi ad una storia che sa di biografia, con i piedi ben piantati per terra anche se con la testa nell’aria. Lo testimoniano gli occhietti matti di un tedesco, forse fuggiasco da una Germania in preparativi bellicosi che, come un profeta, ci avverte senza remore che la situazione è pronta per esplodere. E lo testimonia, infine, l’amore tra Jiro e la sua adorata Naoko, che diventerà sua moglie tra mille difficoltà personali. Riguardo a quest’ultimo aspetto non c’è comunque da mettersi le mani nei capelli: non siamo in presenza del solito plot che agli aeroplani unisce strazianti storie strappalacrime (Pearl Harbour, Giovani Aquile, Dark Blue World… ormai non si contano più). Essendo il racconto di una vita, il legame sentimentale è ovviamente una cosa di cui tenere conto e, in questo caso, non è nemmeno agente di un cambiamento nel comportamento del protagonista ma, anzi, gli darà ancora più forza per continuare a lavorare indefesso, da buon giapponese, al suo progetto con cui ormai è diventato tutt’uno. Che mogli comprensive, quelle di una volta!

Insomma, siamo davanti ad un’opera importante che, personalmente, metterei nella top 5 del regista, se ne esistesse una. Forse non entusiasmerà i fan del Miyazaki sognatore ma è di sicuro impegno e sicuro veicolo di interesse per chi è appassionato di aerei o di storie garbate, pulite e ponderate. Che, di questi tempi, non è poco.

Eugenio Goi