Titolo originale: Ma maman est en Amérique, elle a rencontré Buffalo Bill
Nazione: Francia/Lussenburgo Anno: 2013
Genere: Animazione Durata: 75'
Regia: Marc Boréal, Thibaut Chatel

Si è aperta ufficialmente l’edizione 2014 del Future Film Festival con questa serata dedicata a Ma maman est en Amérique, elle a rencontré Buffalo Bill, coproduzione franco-lussemburghese tratta da un romanzo a fumetti omonimo. Alla serata sono intervenuti anche gli autori di quest’ultimo (Jean Regnaud ed Èmile Bravo) e grazie alla loro presentazione abbiamo potuto scoprire l’origine di questa piccola storia.

Le avventure di Jean, il bambino protagonista, altro non sono che la versione romanzata di quanto visse veramente Regnaud nella sua infanzia, durante il primo anno di scuola elementare.

Jean e il suo fratellino sono i figli di un uomo piuttosto benestante, proprietario di una fabbrica di verdure in scatola. Lui, padre tutto dedito al lavoro, delega spesso la cura dei figli ad una giovane tata, perché… Già, perché la mamma non si trova più con loro. Aleggia un certo tacito mistero sull’attuale dimora della madre ma, ad un certo punto, una vicina di casa di Jean, sua amica e compagna di scuola di una classe superiore, comincia a ricevere delle cartoline indirizzate al piccolo e provenienti da ogni parte del mondo, nelle quali la mamma si fa viva e racconta delle sue avventure ai quattro angoli del pianeta, a partire proprio dall’America e dal suo incontro con Bufalo Bill. Sarà tutto vero?

Ma maman est en Amérique” è il classico film francofono che ti aspetti. Animazione e disegni puliti, semplici, tondeggianti e dai colori garbati; storia piccola e delicata per un’ampia platea, che suscita il sorriso e la tenerezza senza mai addentrarsi in toni drammatici o avvalersi del facile momento “lacrimuccia”. Ci si intrattiene volentieri seguendo la vita scolastica di tutti i giorni del nostro Jean. Anzi, a discapito del titolo è proprio questo il motore centrale del film. Le cartoline e i sogni di bambino intervallano con frequenza la realtà quotidiana ma non in maniera preponderate. Sono piuttosto veicolo di una presa di coscienza lenta ma inesorabile del piccolo sui fatti della vita, su cosa significhi diventare un po’ più grandi e saper gestire le disillusioni quanto arrivano così, come un fulmine a ciel sereno.

Una visione godibile, dunque. Non eccezionale, magari e non particolarmente avvincente come mi era sembrato ad esempio “Couleur de peau: miel”, proiettato l’anno scorso sempre al festival. Ma pur sempre con i suoi piccoli meriti. Se avete dei figli che credono a Babbo Natale, però, meglio evitare: pare proprio che quando si diventa grandi, smetta di esistere!

Eugenio Goi