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It's such a beautiful day
Titolo originale: It's such a beautiful day
Nazione: USA Anno: 2012
Genere: Animazione Durata: 65'
Regia: Don Hertzfeldt
La recensione di questo film non era prevista dai miei impegni nel programma festivaliero ma faccio volentieri uno sforzo per segnalare questo piccolo gioiellino, così significativo e così disturbante allo stesso tempo.
Seguiamo qui la storia di Bill, uomo qualunque, impiegato qualunque che, sul cammino della vita, incontra una malattia al cervello ostica e degenerante, che lo colpirà soprattutto nella mente e, nelle fasi terminali, anche nel fisico. La trama in sé è tutta qui ma quello che conta, in questo caso, è la messa in scena e la portata psicologica e morale dell’opera in questione. Lo spettatore seguirà i fatti attraverso la voce di un narratore, che descrive e commenta le situazioni ed i pensieri dei personaggi. Più che narrazione, però, si rasenta il flusso di coscienza per quanto le parole trabocchino, a volte, quasi a velocità pensiero. Inoltre, anche se la messa in scena non è costruita in prima persona, lo spettatore è catapultato comunque dentro la testa di Bill e dentro il suo malessere confusionario che nel tempo prende sempre più piede. La bravura del regista, quindi, consiste nell’ imporci il suo disagio avvalendosi solo di mezzi molto semplici e primitivi. La stick-motion è accompagnata ed a volte amalgamata da riprese effettuate con una vecchia macchina da 35mm. Personaggi lineari e stilizzati spartiscono quindi porzioni di schermo con riprese di fronde, pioggia o composizioni di forme e colori in movimento che, assieme ad effetti audio e musiche, contribuiscono a delineare sensazioni. Magistrale l’uso dei rumori, volutamente caotici, fastidiosi, anche sovrapposti a brani musicali, che si affastellano nella mente malata del protagonista come ossessive e stranianti fissità, tarli mentali derivanti dal monto che lo circonda e che, pian piano vengono assimilati ed astratti a puro disagio.
Certo, allo spettatore comune potrebbe sorgere una domanda: perché sottoporsi ad un’esperienza del genere? Beh, forse per toccare con mano le vette emozionali a cui si può giungere con l’animazione o per cercare di riflettere su un lato dell’esistenza umana non comune e tra i più drammatici ed impegnativi possibili, come la perdita di sanità mentale. Raramente, infatti, vi è una via d’uscita da situazioni tali e, forse, l’unico modo di sopravvivere è abbandonare il proprio corpo malato sotto un albero di un parco e pensare: oggi è davvero una bella giornata.
Eugenio Goi
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