di Daniele Barbieri


Quello che colpisce negli artisti del gruppo Valvoline è la disinvoltura con cui essi si muovono tra linguaggi diversi, tanto per l'uso spregiudicato che viene da loro fatto delle caratteristiche di un linguaggio mentre operano all'interno di un altro, quanto per la loro capacità di operare nell'ambito di linguaggi differenti. E' questa multiformità, al di là delle notevoli capacità di ciascuno, che caratterizza il gruppo in quanto tale. Ed è questa disinvoltura che viene a mostrarci come sia possibile operare quando ci si rende conto che la cultura è un tutto le cui parti sono fortemente interconnesse, e che non esistono limitazioni a priori ai rapporti che è possibile svelare.
La multiformità del gruppo Valvoline, argomento di questo volume, ha origine e cuore nella multiformità del suo linguaggio principale, il fumetto. Tradizionalmente considerato un medium povero, di importanza secondaria, tanto negli U.S.A., dove è nato, quanto in Italia, il fumetto si è tuttavia costruito negli anni una semisotterranea tradizione, non così povera di capolavori come la sua esclusione dalla cultura ufficiale potrebbe far credere. Questa sua esistenza bassa, popolare, questo suo storico arrabattarsi da guitto, costretto ad attingere a tutti i linguaggi di maggior onore o di maggior fama per meritarsi un poco di attenzione, lo ha reso inconsapevolmente un medium sfaccettato, aperto a tutte le sperimentazioni, a tutte le contaminazioni. Ben lo avevano intuito, considerando solo le sue possibilità linguistiche, già all'inizio del secolo, artisti come Lyonel Feininger e Winsor McCay. E in tutti i suoi anni di storia, le sue potenzialità interlinguistiche avevano continuato a dar luogo, sempre un poco in sordina, a una quantità di singolari fenomeni.
In Italia, è stato intorno alla metà degli anni settanta che il fumetto ha incominciato a costituire un fenomeno decisamente nuovo. Guardando a quegli anni, si assiste a uno sviluppo prima decisamente in sordina, poi crescente, poi esplosivo intorno al 1980, a cui farà seguito, a partire dal 1984, una serie di tracolli editoriali, e di chiusure di testate. L'impresa di Valvoline è nata e si è sviluppata in questo contesto di esplosione del fumetto italiano, costituendone uno dei momenti più significativi, e uno dei trait d'union con gli universi della grafica, della moda, dell'arte visiva, e altri ancora.
Benché sia sempre stato, fin dalle sue origini, un prodotto di diffusione popolare, particolarmente a livello infantile, il fumetto italiano ha incominciato a vedere, a partire dalla metà degli anni sessanta, alcune riviste, prima tra tutte Linus, che presentavano a un pubblico colto, insieme con i prodotti più interessanti francesi e anglo-americani, anche un certo numero di autori italiani di alto livello, come Guido Crepax, Dino Battaglia, Hugo Pratt e altri. Queste riviste, conosciute in generale come riviste di fumetti d'autore, avrebbero poi aperto i loro spazi, dalla metà degli anni settanta, anche a molti giovani, costituendo così per loro prima l'esempio e poi la palestra.
Bisogna aggiungere che in un momento di grande fervore e rinnovamento tanto sociale che culturale come i settanta, il fumetto ha probabilmente rappresentato per molti la forma d'espressione meno contaminata dall'ufficialità, più alternativa e controcorrente. Dalla Francia arrivavano tra l'altro in quegli anni prodotti di eccezionale valore, dove l'ansia di rinnovamento culturale si coniugava con l'abilità grafica e l'innovazione narrativa. L'immaginazione al potere, insomma, come si era ripetuto fino a qualche anno prima. E compariva sulle pagine di Alterlinus (una rivista dello stesso editore di Linus, più tardi ribattezzata Alter Alter) una serie denominata Alack Sinner, degli argentini José Muñoz e Carlos Sampayo, che mostrava come fosse possibile recuperare nel fumetto una narrazione assai più tradizionale di quella dei francesi, pur mantenendo una qualità e una carica etica e grafica decisamente incontestabili.
Nell'universo degli autori nuovi di quegli anni, in generale nuovi non solo perché di fresca uscita, il pubblico aveva bene individuato un'avanguardia, un certo numero di fumettisti la cui produzione si presentava come particolarmente diversa da quella tradizionale.
La storia dell'avanguardia del fumetto italiano incomincia con una rivista edita in proprio da alcuni autori nel 1977 tra Roma e Bologna, dal titolo e dai contenuti provocatori, Cannibale. Cannibale conteneva storie particolarmente violente e iconoclaste, più o meno vagamente ispirate all'underground fumettistico americano, di notevole qualità e novità grafica, dirette a un pubblico colto e arrabbiato. Nasceva sull'onda della rivolta studentesca e si rivolgeva ai suoi protagonisti; faceva piazza pulita del fumetto tradizionale per mettere in scena fantasie e paure della generazione che lo produceva.
Cannibale ebbe vita breve. Ma nel 1980 i medesimi autori fondavano Frigidaire, con lo stesso spirito iconoclasta, e con un progetto editoriale di respiro assai più ampio. E su Frigidaire, Alter Alter e Linus incominciamo a vedere comparire gli autori che avrebbero poi costituito Valvoline.
Il gruppo Valvoline nasce ufficialmente, anch'esso a Bologna, nel gennaio del 1983, data a partire dalla quale, per sette mesi, esce sulla rivista Alter Alter un inserto curato e realizzato esclusivamente dai suoi autori. Ma ciascuno di loro aveva già alle spalle una storia più o meno lunga. Mattotti pubblicava dal '75, spesso in collaborazione con Kramsky, e aveva già alle spalle diversi volumi. Jori pubblicava dal '76 su Linus ed era già noto come pittore. Igort, Carpinteri e Brolli pubblicavano dal '78-'79 su diverse testate, talvolta anche in collaborazione. Con le riviste Il Pinguino Guadalupa e Pinguino Studios, del 1980, Igort, Carpinteri, Brolli e Mattotti avevano già affrontato un'esperienza comune.
Il gruppo insomma si forma quando tutti gli autori sono già conosciuti dal pubblico, e si presenta con un'azione spettacolare, un inserto che occupa più della metà delle pagine di una delle riviste più quotate del momento.
Rispetto al rapporto con il loro mezzo di espressione è significativo l'inizio dell'intervento di Lorenzo Mattotti. Mattotti si dichiara affascinato dal fumetto per la sua complessità, per l'interazione necessaria tra le componenti di immagine, di sceneggiatura, e di ritmo; dove il ritmo è qualcosa che deriva dall'interazione tra l'immagine e la sceneggiatura, ma sembra comunque che viva una vita propria almeno quanto le altre due componenti.
Non si può infatti parlare di Valvoline come si parla di altri gruppi di artisti. Nonostante la forte presenza di forme derivate dalla grafica, dall'arte visiva e da molte altre fonti ancora, il fatto che sia il fumetto l'imprescindibile punto di partenza per questi autori - con la relativa eccezione di Marcello Jori - significa che fin nelle figurazioni dall'apparenza più formale, più astratta e immobile, il problema della rappresentazione del tempo gioca una parte determinante. Se è pur vero in generale, da una parte, che ogni rappresentazione è in sè narrativa, perché la narratività è il nostro modo di interpretare il mondo - come ci insegna la semiotica francese - è vero d'altra parte che in Valvoline la narratività è comunque il punto centrale, il cuore comune delle varie poetiche che giocano nel gruppo.
In questo senso è importante rendersi conto che l'operazione di Valvoline non nasce assolutamente come una operazione di rottura nei confronti del fumetto tradizionale - così come è spesso stata sentita da molti suoi affezionati - ma come ricerca sulle possibilità espressive del linguaggio. Alla fine del suo intervento, Giorgio Carpinteri dice di voler essere il Jack Kirby dei nostri giorni, ma a un gradino culturale più evoluto: il che significa continuare a operare nello spirito del creatore dei Fantastici Quattro, ma con ben altra consapevolezza culturale. Mentre ancora Mattotti insiste sul suo desiderio di usare il fumetto per raccontare storie impalpabili, sensazioni, sentimenti... il silenzio, la paura, la corsa.
E' in questo spirito che nel fumetto degli autori di Valvoline sono entrate tante cose che nel fumetto tradizionale non c'erano. Ma è sbagliato pensare che questi autori abbiano cercato di mettere assieme fumetto e arte visiva, fumetto e grafica, fumetto e moda. I legami con arti e linguaggi differenti sono il prodotto di necessità espressive che hanno portato i Valvoline a saccheggiare tutto quello che poteva loro servire per raccontare, con quella disinvoltura culturale che si trova solo nei momenti più felici dei rinnovamenti stilistici.
E il risultato, nei confronti di questi altri linguaggi, è stato un ritorno di forme, di novità, di indirizzamenti culturali. Un esempio valga per tutti: si è fatto un gran parlare del futurismo di Carpinteri, associandolo all'interesse che il futurismo storico ha ricevuto negli ultimi anni. Fatto sta che, a ben guardare, questo cosiddetto futurismo è presente in Carpinteri assai prima che le mode culturali si focalizzassero in quella direzione. E a ben guardare ancora, nel primo Carpinteri, il futurismo è un aspetto marginale, un epifenomeno del tentativo di rifare Will Eisner in una prospettiva iper-razionalistica, del tentativo di controllare attraverso la razionalità geometrica il deragliare di un mondo avvicinato al paradosso. Che poi questo programma sia incidentalmente non lontano da quello del futurismo significa che le vie culturali si intrecciano e riintrecciano continuamente, per cui nulla nasce che non rimandi a qualcosa che è già stato - ma non significa che Carpinteri intendesse citare il futurismo, o in qualche modo riappropriarsene. E' interessante notare che in altri autori del fumetto italiano emergevano nello stesso periodo forme analoghe - anche se in genere non con la stessa qualità - a riprova che qualcosa nell'atmosfera culturale spingeva in quella direzione, e che quelle forme sembravano imporsi come le più adatte per esprimere qualcosa che in quel momento era importante esprimere. E' dunque forse più probabile che l'interesse nei confronti del futurismo, esploso negli anni successivi, provenga da qui, che non viceversa.
Carpinteri è del gruppo quello più vicino, per certi versi, quanto a poetica, all'impostazione iniziale della rivista Frigidaire, nella quale gravitavano attorno all'interesse per gli aspetti più particolari del sociale, tendenze al grottesco, all'espressionistico, all'espressivo nel senso più forte del termine. Il gioco di Carpinteri consiste nel manovrare con estrema lucidità e razionalità narrazioni e rappresentazioni tra l'incubo e il paradossale. Un gioco di fortissimi, dalla cui interazione può sorgere perfino una linea di interiore delicatezza, e nasce sempre, in ogni caso, il senso del grottesco, del portato al limite, dell'esplorazione della zona più lontana dalla normalità, con la consapevolezza piena e l'esplicito uso di quanto di ridicolo rimane in tutto ciò.
In alcune di queste caratteristiche, Carpinteri si avvicina a Charles Burns, l'americano cooptato da Valvoline all'epoca della sua permanenza in Italia. Burns è lucido quanto Carpinteri, ma predilige i toni drastici dell'horror, creando una versione quasi pop del fumetto americano classico di orrore.
E' interessante notare come il segno nero netto, pulito, di Burns renda irreali gli orrori che narra. E' un segno che ricorda da vicino quello degli ingrandimenti di Lichtenstein, o le Campbell Soups di Warhol. Ma mentre là quel segno rendeva irreali gli oggetti del consumismo americano, qui rende - attraverso la mediazione pop - consumistico l'orrore. Lo stesso segno, la stessa superiore oggettività viene mostrata per rappresentare la bionda carina, l'automobile e il mostro rivoltante, dichiarandoli appartenenti al medesimo universo. Lo stesso senso di angoscia finisce dunque per passare attraverso tutti gli oggetti. L'orrore non è solo nei mostri che si nascondono tra noi.
Il segno di Burns è in definitiva un segno sarcastico, sardonico, che non lascia via di scampo. Persino il sentimento fa parte della galleria degli orrori, e viene ostentato e curato come il mostro che è. Burns riesce ad essere preoccupante persino nelle illustrazioni di moda realizzate per Vanity. Nella precisione tagliente del suo segno l'oggetto rappresentato acquisisce una distanza che sembra irrecuperabile.
Rispetto alla rappresentazione del sentimento, Carpinteri appare più moderato e più intellettuale al tempo stesso. Il sentimento è semplicemente un oggetto da rappresentare quanto gli altri, un meccanismo nella lucida macchina narrativa che ha tanto diritto alla considerazione e all'ironia quanto tutto il resto. In questo senso Carpinteri è certamente il meno sentimentale del gruppo, l'autore più costruttivista e formalista. A partire da Burns, che lo massacra di sarcasmo, ma non lo evita, il sentimento rappresenta un polo importante per tutti gli altri autori.
In diverse degli interventi degli autori riportati in questo volume troviamo riferimenti al melodramma. E non si tratta solo del fatto che il fumetto, come il melodramma, è costituito da una molteplicità di componenti, ma anche di un particolare rapporto con la rappresentazione del sentimento, delle passioni.
Il melodramma è certamente, nella storia della narrazione in Europa, uno dei luoghi principali - se non il principale in assoluto - di rappresentazione delle passioni. Il suo essere costituito da molteplici componenti poteva portare, attraverso l'interazione di testo, azione e musica, a intense rappresentazioni delle passioni: e così il Romanticismo ha voluto che fosse. Ma in questa molteplicità è contenuta anche una possibilità opposta: quella di raccontare su diversi piani in maniera diversa; utilizzando, per esempio, l'azione scenica e la musica come discorsi diversi - e concorrenti - sullo stesso evento.
Sentimento e ironia sono una coppia inscindibile per tutti gli altri autori di Valvoline: Igort, Daniele Brolli, Marcello Jori, Lorenzo Mattotti e Jerry Kramsky. In vario modo, ora accentuando l'uno ora l'altra, questi autori hanno sperimentato come sia possibile rappresentare la passione al tempo stesso con coinvolgimento e con distacco. La molteplicità di componenti della narrazione a fumetti permette, come nel melodramma, di portare avanti il racconto su piani paralleli.
Per questa ragione, per esempio, nelle immagini di Mattotti, persino quando la situazione raccontata è quanto mai seria e struggente, i personaggi mantengono volti e proporzioni di benevole caricature. La dialettica con l'irreale, col desiderio e il sogno, che da un certo momento in poi non scompare mai dalla produzione di Mattotti (anche quando, e forse specialmente quando in collaborazione con Kramsky), è intimamente intrisa di un'ironia, a volte così sottile da rimanere appena un velo sopra l'intensità delle passioni raccontate, a volte assai più corposa, e comunque bonaria, costruttiva. Addirittura nelle sue illustrazioni di moda, le architetture grafiche di colori non nascondono questo distacco appena accennato, questo leggero ribadire la distanza all'interno di un coinvolgimento che le tessiture dei colori rivelano intenso.
Il punto probabilmente è che questi autori si sono trovati a dover affrontare il problema di raccontare il sentimento in un contesto culturale dove troppo spesso il sentimento è confuso con il sentimentalismo. Stando così le cose, non è possibile abbandonarsi sino in fondo: si sa benissimo che l'ingenuità primitiva - quella che permetteva davvero di raccontare grandi passioni senza problemi - è qualcosa che non esiste più da tanto tempo. L'autocontrollo, il distacco dell'autore, è necessario proprio all'interno della sua partecipazione emotiva. Il feuilletton, la cartolina di cui parla Igort nel suo intervento, e quindi ancora il melodramma, sono qualcosa da cui non si può prescindere nel raccontare le passioni; ma adoperare cartoline non significa riprodurle.
In diverso modo per ciascuno degli autori, situazioni passionali intense, e talora addirittura fogliettonesche, sono calate in contesti che le rendono oggetti strani, un poco misteriosi, gravidi di implicazioni psicologiche e filosofiche. L'amante di un capo-gangster che lo tradisce, un giovane tenente di marina in preda a forze occulte, un ufficiale giapponese diviso tra un amore omosessuale e una donna, una danzatrice indiana tenuta prigioniera da un mago da baraccone... Ma anche la singolare storia di un ufficiale che inventa un fucile per uccidere l'anima, la decadenza di un capitano di industria in preda a divagazioni filosofiche, strane storie di angeli, santi e alieni, i ricordi e le disavventure di un frustrato, e l'alieno finito tra gli uomini che deve trovare la donna giusta con cui fare l'amore per poter tornare a casa...
Jori crea situazioni da melodramma, dove il filo di inconsuetezza che scorre fin dall'inizio porta a soluzioni inaspettate, maliziosamente incoerenti con la logica narrativa che l'inizio pareva suggerire. La sua immagine, realista con ancora maliziosa retorica, rinvia a sequenze cinematografiche, a foto d'epoca, a una competenza così fortemente di genere da far sì che il contrasto con gli inaspettabili sviluppi narrativi ne risulti amplificato.
Igort ricerca nell'esotismo la chiave per rappresentare il sentimento come interiore eleganza, come partecipazione etica intensa allo scorrere delle cose. La problematica Zen di concentrazione e compassione lo conduce a considerare interiorità e aspetto esteriore dei suoi personaggi come momenti di continua riflessione. Oscilla tra questo aspetto - che rimane comunque quello fondamentale della sua poetica - e il disincantato occidentale rendersi conto che anche di questa interiore eleganza ci si può prender beffa.
Brolli è, da un punto di vista narrativo, il più complesso e multiforme. Sceneggiatore quanto e forse più che disegnatore, ama attraversare l'universo dei generi, alla ricerca di forme. Le sue storie, disegnate da sé o da molti altri disegnatori, sono tante e diverse. Ma nella produzione più personale temi di malinconia e rimpianto prevalgono, se pur tratteggiati di paradossale, di sarcastico, di parodiante deragliamento.
E' interessante quello che Brolli dice nel suo intervento sul proprio uso delle didascalie narrative, spesso accompagnate da una totale assenza di balloons; quello che il lettore sta leggendo deve creare l'impressione di essere solo un frammento di un tutto molto più vasto che lo circonda, così come accade - ci dice lui - nella fotografia. Paradossalmente la narrazione col balloon, troppo realistica, inibisce la riflessione necessaria per rendersi conto di questo fatto. La maggior parte della storia sta negli spazi tra immagine e immagine, e il lettore deve rendersene conto tangibilmente.
Dello stesso genere è l'uso di materiale da collage che Brolli fa. Oggetti diversi tra loro, accostati in una situazione che li rende singolarmente comunicanti, reinterpretabili rispetto a quello che era il loro uso standard; e comunque da reinterpretare come frammenti della situazione, schegge del mondo raccontato che irrompono, si presentano nella loro irrecuperabile malinconia di frammenti, di ombre. Popolano marginalmente, ridefinendolo, lo spazio magico, avvolgente, enorme, in cui si muovono i personaggi. Lo spazio di un design della memoria, carico di moderno, di estraneità futuribile che non si sbarazza mai di un passato ingombrante, determinante.
Tutto ciò lascia pensare che tra i generi che Brolli attraversa ve ne sia uno privilegiato, con cui l'autore intrattiene un rapporto particolare: la fantascienza. La sua memoria del futuro è il luogo dove ironia e malinconia possono raggiungere tutti i generi, tutte le storie, tutte le possibilità di rappresentazione. Il design onnipresente e impossibile dei suoi oggetti vive la malattia della fantascienza di trasporre in un altrove remoto le incertezze del presente.
Una analoga singolare dialettica tra realismo e fantastico pervade anche la produzione di Jori. Bisogna tuttavia tener presente che tutta la prima fase della produzione di Jori è all'insegna di un umorismo così stilizzato che sfiora il concettuale, pur distaccandosene per la spesso sinistra pregnanza materiale delle microstorie narrate. E bisogna anche tener presente che Jori è l'unico in tutto il gruppo ad avere il fumetto come (provvisorio) punto di arrivo, e non come punto di partenza. Jori nasce e cresce come pittore, entrando nel fumetto quasi per caso, per un bisogno di manualità che l'arte concettuale che esercitava non gli permetteva di sfogare.
Minus è un piccolo capolavoro di caparbi dispetti al lettore, un minimale atteggiamento narrativo da cui è esclusa qualsiasi linea che non sia essenziale. Una dichiarazione di poetica del bianco, del vuoto. La successiva, coloratissima, storia di "Carletto e Feto" - dove un neonato e un feto, che si comportano come adulti, mettono a soqquadro una città per appropriarsi dell'amore di tutte le mamme - rappresenta il momento di passaggio, col riappropriarsi, per mezzo del sarcasmo, di una versione singolare del sentimento, ma pur sempre del sentimento.
Poi, ecco lo Jori di Valvoline. Chine sfumate o ecoline costruiscono un iperrealismo da cinema nero, o da cinema-verità. La luce, mezzo fondamentale della fotografia e del cinema, diventa nelle immagini di Jori l'oggetto principale di rappresentazione. Ma si tratta pur sempre di un iperrealismo, e non di un realismo vero e proprio: ed è il più vero del vero che può permettersi di imboccare percorsi inaspettati, che può mostrarsi coerentemente come discorso sulla rappresentazione del reale, piuttosto che come rappresentazione stessa.
La luce è l'oggetto anche delle immagini di Mattotti, ma in un contesto del tutto differente. Quanto è diafana, immateriale, sfarfalleggiante e maliziosa l'iperreale luce di Jori, tanto è densa, totale, avvolgente, materiale, la luce di Mattotti. Nessun discorso sul cosiddetto reale: Mattotti è un espressionista fin da principio, fin da quando ancora cerca di raccontare storie metropolitane di vita di tutti i giorni. E poi chiaramente, evidentemente, quando viene messo in scena il sognatore Spartaco, con l'avvicendarsi dei suoi vissuti, e il tenente Assenzio di Fuochi, dove all'incubo primordiale dell'inconscio magico dell'isola proiettato su di lui si contrappone l'altro incubo, quello tecnologico, della nave da guerra, non meno irreale e non meno espressionistico.
Basta guardare del resto gli schizzi a pennino di Mattotti degli anni settanta per rendersi conto che anche la pretesa di raccontare il quotidiano portata avanti nei fumetti in quegli anni nascondeva un sotterraneo molto più contorto. Visioni, allucinazioni dalla non rara pregnanza sessuale, il segno sottile di un pennino che graffia sulla carta inquietudini non altrimenti esprimibili, deformità, silenzi.
E il silenzio rimane in Mattotti uno degli elementi da esprimere, anzi uno degli elementi della stessa possibilità di espressione. Le campiture di luce, quasi piatte, ma rese impure e fortemente materiali dall'uso del pastello a olio, sono in Mattotti il segno visibile del silenzio, esattamente quello che rimane all'osservatore quando il silenzio gli permette di osservare. La matericità è comunque essenziale, tanto quella del mezzo quanto quella di ciò che è raffigurato. Lo si vede particolarmente bene nelle immagini che Mattotti ha realizzato per i servizi di moda di Vanity. La matericità del mezzo caratterizza la materia delle cose che sono raffigurate. E caratterizza anche come modulazione cromatica e luminosa in senso espressivo la sapientissima costruzione grafico-astratta delle immagini. Al punto che le stesse immagini sono leggibili tanto come pure relazioni cromatiche - la maniera in cui iniziamo a leggere un'immagine astratta - quanto come determinazioni narrative.
Una problematica simile, dove una piattezza coloristica da quadro astratto si accompagna/contrappone alla profondità dello spazio narrativo, è presente anche in Carpinteri. E' interessante per esempio notare un certo uso che Carpinteri fa in certi luoghi di pattern, di insiemi di piccole figure ripetute a creare sfondi modulari e modulati. Ma vi è soprattutto il fatto che il colorismo forte di Carpinteri si presenta frequentemente più per il suo impatto visivo non-rappresentativo che per quella narratività che è comunque presente. Come nel caso di Mattotti, la costruzione grafica di Carpinteri ha comunque rilevanza narrativa: i colori e le forme che costruiscono l'immagine trasmettono impressioni emotive ancora prima, e ancora al di qua, delle impressioni che ciò che è raffigurato deve trasmettere. La comunicazione è dunque prima grafica e poi direttamente narrativa, ma anche la parte grafica va a rafforzare l'effetto narrativo, che rimane comunque quello nodale.
In questo procedimento Carpinteri rimane in ogni caso molto più freddo, più controllato di Mattotti. Se lo scopo comune è l'espressività, là dove Mattotti sembra costruirla sommando elementi caldi, Carpinteri, in maniera molto più drastica, sembra ottenerla dal contrasto tra logiche glaciali. Tutti gli elementi - la storia, le tessiture cromatiche, i neri, i rapporti tra forme - appaiono controllati da una ragione fredda e ferrea. Ma i rapporti tra loro sembrano invece l'effetto di una baldanza espressiva liberatoria. Il passionale attraverso il concettuale, insomma. Non dimentichiamo il periodo bianconero di Carpinteri, dove le ombre venivano realizzate con una maniacale tessitura costituita dall'infinito iterarsi della parola "ombra".
Anche Burns condivide forse questo percorso dal concettuale al passionale, nella costruzione delle sue immagini. Ma al contrario di Carpinteri, e degli altri Valvoline in generale, non giustappone componenti diverse a creare un effetto di senso globale. Quello che colpisce semmai del suo disegno è la semplicità e la apparente povertà. Pochi, pochissimi elementi: quasi mai il colore, e anche quando presente, piatto, da tipografia; una linea pulita e essenzialissima, bianchi e neri netti, a grandi campiture. Ma a Burns questo è sufficiente. Un solo, fondamentale contrasto, magistralmente modulato, tra l'estrema pulizia delle immagini e l'inquietezza sinistra di quello che raffigurano.
Non meno che per gli altri, la dialettica caldo/freddo è di primaria importanza per Igort, che condivide con Carpinteri l'amore per le forme perfette e controllate, ma poi è più vicino a Mattotti e alla sua passionalità per l'uso che di queste forme viene fatto. Là dove Mattotti dichiara, per esempio, di non amare i retini, trovandoli freddi pure quando efficaci, Igort utilizza anche i retini per ottenere invece effetti caldi. E così, nelle sue produzioni in bianco e nero troviamo retini sovrapposti a produrre effetti moiré e battimenti grafici, o retini accostati con differente inclinazione per suggerire la presenza di piani differenti, o addirittura retini grattati, usati come lo scuro da cui il bianco emerge per sottrazione. Con quest'ultima tecnica il retino diventa davvero un mezzo caldo, creando la possibilità di usare a fianco di un pennino che stende il nero un pennino che stende il bianco.
Il rigore di Igort è così tutt'altra cosa da quello di Carpinteri, benché in alcuni momenti la loro grafica si sia presentata molto simile. Partiti da esperienze comuni, ed entrambi alla ricerca di quella che chiamano espressione, mentre Carpinteri seguiva la strada dei contrasti simultanei, Igort procedeva alla ricerca di un'interiorità fortemente venata di orientalismo, costruendo una grafica ricca di curve morbide e di oggetti dal design improbabile quanto quello di Brolli. L'ambiguità piattezza/profondità è così ancora più forte nelle sue immagini che in quelle di qualsiasi altro. Non è raro che l'immagine in bianco e nero diventi un gioco di incastri di silouettes, o che l'immagine a colori riproduca stampe erotiche giapponesi o manifesti sovietici.
Il centro del problema di Igort è sempre, come già avevamo accennato, il particolare rapporto con il concetto di eleganza, dove l'eleganza è qualcosa che riguarda al tempo stesso interiorità ed esteriorità. L'eleganza è il fluire, il diretto prodotto della concentrazione, pratica primaria dello Zen non tanto per capire, quanto per essere il mondo.
E' naturalmente indispensabile, per un discorso generale su Valvoline, indagare sul rapporto complesso che le opere di questi autori intrattengono coi diversi media: con l'arte visiva, con la grafica e il design, con la moda e la pubblicità, con cinema e televisione, e infine con lo stesso fumetto. Per parlare di questo, è opportuno tener ben presente alcune distinzioni: bisogna intanto distinguere tra le produzioni a fumetti che esibiscono rapporti con gli altri media, e le incursioni di Valvoline in questi stessi media; e bisogna poi distinguere in entrambi i casi tra l'uso che viene fatto di certe forme, e l'influsso che le forme di certi autori o di certi ambiti possono avere sugli autori di cui parliamo, una distinzione che non è sempre utile e necessaria, ma che in alcuni casi è determinante per rendersi conto di certi rapporti culturali tra i linguaggi.
Che il Minus di Jori ci ricordi Folon, quanto a grafica, e Topor, quanto a crudeltà satirica e surrealtà può giustificare che si parli di un'influenza di questi autori su Jori. Così come si può parlare di un forte influsso dell'arte giapponese su Igort; e c'è poi tutta la questione del futurismo di Carpinteri, a cui si accennava sopra. Ma è ben più importante capire che il fatto di venire poste in una dimensione fondamentalmente narrativa modifica il significato delle forme tipiche dei pittori e degli stili nominati, in un modo tale che è ben più importante capire che uso ne stiano facendo i nostri autori, piuttosto che limitarsi a riconoscere una presenza.
Il fatto di agire in una dimensione culturale profondamente diversa da quella dell'arte visiva permette un utilizzo delle sue forme che all'interno dell'arte visiva stessa sarebbe impensabile. Le forme giapponesi in Igort, futuriste in Carpinteri, surrealiste o iperrealiste in Jori, e così via, sono semplici mattoni di costruzione del significato generale del testo visivo/narrativo che viene prodotto. L'esempio più eclatante ci viene da Fuochi di Mattotti: intere regioni della cultura visiva della pittura del nostro secolo vengono utilizzate da Mattotti per raccontare visivamente. Ci sono forme per esempio che conosciamo da Matisse, e che la nostra tradizione critica ci ha associato a una luminosa serenità, e forme che ci arrivano da Pollock o da Francis Bacon, che rinviano all'angoscia e alla morte, o a concetti vicini. Mattotti usa queste forme come uno scrittore usa i significati sedimentati dalla tradizione sopra le parole per creare le proprie suggestioni. E allo stesso modo, se pur con materiali diversi, lavorano anche gli altri.
Quando poi questi stessi autori si cimentano direttamente con l'arte visiva, non possono comunque abbandonare il bagaglio culturale che li caratterizza. Fa eccezione Marcello Jori, pittore prima che fumettista, la cui produzione pittorica rimane fuori dal presente volume. Per gli altri, è interessante notare come la dimensione temporale caratterizzi anche le tele, persino quelle astratte, vuoi attraverso una caratterizzazione del fluire, come in certe immagini di Mattotti, vuoi attraverso un implicito movimento o tensione dei corpi, come in Carpinteri, vuoi attraverso la resa di situazioni ambientali contingenti, come in Brolli. A un concettuale che si presenta come una parodia del concettuale stesso tende invece Igort, dove il suo apparato figurativo consueto diventa mezzo per un discorso sui media.
Per quello che riguarda la grafica, esiste un problema grafico specifico del fumetto, da cui può derivare un rapporto molto più complesso. Si tratta del problema dell'impaginazione: il numero e le dimensioni delle vignette, le forme che si rispondono tra una vignetta e l'altra, l'impostazione generale del colore nella pagina, il rapporto tra l'insieme di questi elementi in una pagina e quello nella pagina successiva; tutti fattori che risentono del duplice influsso di una necessità narrativa e di una grafica. Soprattutto per quello che riguarda il colore troviamo in Igort e Mattotti l'uso della dominante tonale per pagina, che risolve efficacemente il duplice problema grafico e narrativo. Il colore dominante caratterizza la situazione psicologica generale che le varie vignette specificano; in Igort troviamo anche la progressione della dominante tonale attraverso le pagine di una storia, che comincia, per esempio, con toni freddi e finisce con toni caldi. Brolli gioca sull'inserzione di piccoli centri di attenzione, spesso a collage, che rompono la divisione tendenzialmente uniforme della pagina attraverso il loro richiamo immediato di interesse. Carpinteri e Burns fanno spesso uso di una logica grafica di pieni e di vuoti, di bianchi e di neri, zone con differente peso.
Considerando il design prodotto implicitamente da alcuni Valvoline, bisogna ben tener presente che gli oggetti, le architetture e la moda che compaiono in fumetti e illustrazioni partono da considerazioni ben diverse da quelle di un normale designer. Si tratta infatti comunque di un design immaginario, nel senso che la sua ragione fondamentale è quella di una funzionalità all'universo narrato, e alla sua migliore determinazione. Il progetto non è dunque in generale rivolto ad incidere sul mondo reale, non ha finalità industriali o di mercato. Non è dunque un caso che molte architetture ricordino tra l'altro la geniale assurdità di un Sant'Elia, architetto senza speranza di realizzazioni. Persino quando viene loro offerta la possibilità di realizzare qualche oggetto, nella fattispecie alcuni abiti, la verve immaginario-ironica vince, ottenendo abiti la cui eleganza è del tutto importabile. Ironia e favola negli abiti di Mattotti, teatro in quelli di Jori, passionalità russa in quelli di Igort.
Nonostante questo, i prodotti del design immaginario di Valvoline possiedono una coerenza stilistica e un interesse che trascende il loro semplice esser parti di una narrazione. Se non come effettive proposte di oggetti, li si può comunque considerare come proposte di uno sguardo verso il design che un Ettore Sottsass approverebbe.
Anche l'atteggiamento nei confronti dell'illustrazione, pubblicitaria e non, risente della dialettica narrazione/grafica. Questo è evidente nelle immagini che i diversi autori hanno realizzato per Vanity, come per i disegni per il quotidiano Il Manifesto, così come nelle tante produzioni occasionali, spesso anche inedite. Il tempo, come movimento in corso, o situazione in evoluzione, caratterizza le scelte rappresentative; ma l'atteggiamento estetico grafico o pittorico di chi deve riempire una superficie bidimensionale rende quelle immagini spesso abbastanza astratte da lasciarle leggere anche al di fuori della dimensione temporale. E' ancora una logica compositiva per cui il puro visivo è solo una componente, certo importante, ma da confrontare con le altre per ottenere la pienezza del messaggio estetico, con in più, rispetto alla logica tradizionale dell'illustrazione, un forte accento sulla rappresentazione della durata.
Analizzare a fondo i rapporti di Valvoline col cinema richiederebbe un saggio a parte. L'iperrealismo di Jori, il documentarismo di Brolli, il dinamismo espressivo di Carpinteri hanno evidenti legami con il cinema. E del resto, tutta la storia del fumetto è intessuta di un rapporto combattivo e imitativo nei confronti del cinema. Lo stesso concetto di sequenza è ugualmente cruciale in entrambi i linguaggi. Si potrebbe pensare che l'operazione di Valvoline di dare molta importanza, rispetto a quello che fa il fumetto più tradizionale, all'aspetto grafico, visivo, debba lasciare in ombra l'aspetto narrativo, più ovviamente correlato con il cinema. Ma questo è sbagliato, come è sbagliato pensare che gli autori di Valvoline intendano privilegiare davvero l'aspetto grafico: le soluzioni grafiche innovative di questi autori sono il risultato di scelte dovute a esigenze espressive che li hanno portati ad altrettanto nuove soluzioni narrative. Il cinema è dunque presente in loro almeno quanto e probabilmente molto più della pittura, come influsso, e c'è chi, tra loro, dichiara che prima o poi si cimenterà come regista.
Nel frattempo esistono già produzioni video, e collaborazioni a programmi televisivi delle reti nazionali. Giorgio Carpinteri produce grafica e sigle per trasmissioni, trasponendo in animazioni computerizzate la geometria interiore e il dinamismo grafico della sua produzione su carta.
Poche righe ancora per definire l'universo di autori di fumetti che sta alle spalle di Valvoline. Quasi per tutti è stata determinante la conoscenza delle storie prodotte da José Muñoz e Carlos Sampayo, argentini stabilitisi in Europa, pubblicati in Italia dal '74, maestri di un espressionismo in bianco e nero di grande complessità grafica, ma del tutto alieno da un certo barocchismo piuttosto diffuso in quegli stessi anni. Surreali e grotteschi, narratori della solitudine e dell'interiorità, Muñoz e Sampayo hanno saputo riportare nel fumetto più impegnato una narrazione che gli autori francesi di qualche anno prima avevano distrutto, come Jean-Luc Godard l'aveva distrutta nel cinema. Il loro uso dei neri, il loro modo di rendere volti e emozioni, il loro modo di raccontare sensazioni e silenzi è chiaramente ritrovabile in diversi Valvoline per anni, fino e oltre il raggiungimento della maturità stilistica.
Andando più indietro c'è il fascino di disegnatori come George Herriman (Krazy Kat), Elzie Crisler Segar (Popeye) e Walt Kelly (Pogo), che si ritrovano attraverso le sceneggiature di Jerry Kramsky in molto Mattotti: un mondo magico, tenero e ironico, molto vicino a questi Valvoline. E c'è Will Eisner (The Spirit), che si ritrova in Carpinteri e in Igort, coi suoi neri e la sua ironia.
Ci sono poi i super-eroi americani, presenti in varia misura in Igort (che ha una specie di fissazione per Batman), in Brolli e Carpinteri; e i disegnatori dell'horror, sempre americani, di cui Burns è un irriverente e criticissimo continuatore, avendo attraversato comunque l'agitato ambiente intellettuale newyorkese e l'underground - un mondo quest'ultimo che attraverso la raffinata versione di Vaughn Bodé tocca anche Kramsky.
Multiformità, multimedialità... dal fumetto a tanti linguaggi. Pensare la cultura per schemi, per aree da colonizzare all'interno delle quali ci si sente sicuri, impedisce di rendersi conto che c'è di più, che c'è molto di più. L'universo delle comunicazioni di massa sembra rendere anacronistico l'artista che opera all'interno di un linguaggio specifico, accuratamente evitando di sconfinare. Disinteressarsi non è lecito, quando si cerca di pronunciare qualche discorso originale. La produzione estetica è discorso sull'uomo e sul suo mondo, e i discorsi attraversano i linguaggi, portandosi dietro forme e frammenti di forme che, così facendo, passano da un linguaggio all'altro. Non c'è più (ma c'è mai stato?) un linguaggio delle immagini che si possa considerare indipendente dal linguaggio delle parole, o della musica. La contaminazione è un dato di fatto. Valvoline ha fatto di questa contaminazione un punto di incontro per artisti che sotto svariati aspetti erano molto diversi tra loro.
Nonostante si sia cercato di documentare le numerose sfaccettature della produzione di ciascun autore, rimangono comunque fuori da questo volume, per varie e intuibili ragioni, una serie di attività tutt'altro che secondarie degli autori di Valvoline. Rimangono fuori l'attività di pittore di Jori, quella di musicista di Igort, quella di scrittore di Brolli; rimane fuori la loro attività di grafici e redattori di riviste, e rimangono fuori, perché lo spazio è poco e i lavori sono stati tanti, le molteplici sfaccettature dell'opera di ciascuno che un'analisi collettiva non può permettersi di approfondire.


(tratto da Valvoforme e Valvocolori, Daniele Barbieri, Idea Books, Milano, 1990)

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