Quando ho conosciuto Sergio Tisselli, lui per me era già una leggenda. Me ne aveva parlato Magnus. Mi aveva detto che si era messo a lavorare su un fumetto insieme a un pasticcere. Magnus era così: diceva delle cose che a sentirle parevano strane, poi però tornavano sempre. Così un giorno arrivò in redazione a Granata insieme al suo «pasticcere», Sergio Tisselli, appunto.
Non ricordo più perché Magnus chiamasse Tisselli «il pasticcere». Un motivo c’era, ma l’ho dimenticato. Di certo Tisselli di pasticceria non si è mai occupato, e la torta che un giorno ci portò per onorare il suo nome se l’era fatta fare da sua madre. In ogni modo era buonissima.
Sulle prime, più che un «pasticcere», Tisselli mi sembrò un «pasticcione». Il lavoro che stava facendo insieme a Magnus era qualcosa di impossibile: mai visto un fumetto così. Tisselli disegnava le vignette, ognuna per conto suo, su fogli separati. Magnus raccoglieva il tutto e costruiva quello che lui chiamava «bozzettone», una sorta di premontaggio della sequenza di vignette, che dopo un ulteriore lavoro di tagli, ritagli e colla diventava la pagina finita. Ci fosse stato il computer, sarebbe stato un ottimo metodo di lavoro. Senza, era la cosa più vicina che si possa immaginare a un delirio. Ci volevano due matti a portare avanti un lavoro del genere, e ci volevano dei matti come noi di Granata per pubblicarlo (io che provavo a far quadrare i conti, Roberto Ghiddi che sacramentava di continuo per insegnare cosa fare o non fare per non perdere di qualità in fase di riproduzione). Matti eravamo tutti quanti, e le avventure di Giuseppe Pignata arrivarono alla loro naturale conclusione, dopo 120 tavole, tutte belle. Matti eravamo tutti quanti, però dopo è finita, per Magnus più che per altri.
Ignoro come disegni adesso Tisselli, quale sia il suo metodo di lavoro. Suppongo avrà smesso con i «bozzettoni» (anche se non ne sarei del tutto sicuro), di certo non ha smesso di complicarsi la vita. Perché? Intanto perché uno come lui non è capace di piegarsi alle logiche del fumetto commerciale, come hanno fatto quasi tutti gli altri. E poi perché si prende delle sbandate per storie che sono sempre agli antipodi del gusto corrente. Prendete questo Kim. In tempi di incubi metropolitani, parabole paranoiche, noir mozzafiato, cosa gli viene in mente di disegnare? Nientemeno che un romanzo ottocentesco, con quei colori, quel ritmo, quella sensibilità…
Lo devo dire, sono proprio contento che Sergio Tisselli mi abbia invitato a scrivere queste righe. Uno perché mi meriterà una copia del libro, che avrò piacere di guardare a lungo e conservare nello scaffale dove tengo le cose che mi stringono il cuore. Due perché mi ha confermato che è matto come una volta. E io provo grande ammirazione per quelli che non rinsaviscono.

Intervento messo a disposizione da Luigi Bernardi.
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